Audizione presso la Commissione Parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza della Camera dei Deputati sulle Pratiche della transizione di genere di soggetti minori di età.
Roma, 7 luglio 2021: Audit del Prof. Filippo Maria Boscia, medico, ginecologo ed andrologo, già direttore della Cattedra di Fisiopatologia della Riproduzione Umana nell’Università di Bari, per venti anni Direttore dei Masters di perfezionamento in Sessuologia Clinica e in Pedagogia Sessuale nell’Università di Bari. Parto dalla mia esperienza per dirvi che le problematiche del genere e del sesso, soprattutto nell’infanzia e nell’adolescenza, sono molto delicate oltre che fortemente controverse. Ancor più negli ultimi tempi perché una proliferazione di termini, variamente complessa, è andata a complicare gli intimi significati della comprensione: le tante variabili introdotte hanno creato grande confusione nella pubblica opinione, soprattutto nei “non addetti ai lavori”.
Ad esempio, la parola “sesso” indica sia l’essere maschio sia l’essere femmina ma anche la sessualità in generale. Ma non solo. I termini “sesso”, “sessuale” e “genere” non sono più riferiti ad indicatori biologici di maschio e femmina, bensì sono indicativi di tante altre variabili psico-sociali ed educazionali riguardanti le funzioni riproduttive e sessuali (cromosomi, gonadi, ormoni sessuali, organi genitali interni ed esterni, sia quando compaiono ambiguità, sia nelle non ambiguità). Nello specifico il termine “genere”, associato ad “identità”, è l’ultimo tra i tanti: serve non solo per indicare gli individui con indicatori biologici e culturali non ambigui ma anche quelli con indicatori sessuali contrastanti o ambigui.
Lo stesso termine si allarga e si estende ai diversi ruoli vissuti nella società e che spaziano dall’identificazione del soggetto come bambino o come bambina, come uomo o come donna, fino ai fattori biologici e sociali, psico-emozionali e psico-sociali e ai molteplici altri fattori interagenti con le complesse fasi dello sviluppo del genere. In questa complessa materia bisogna andare all’origine dei problemi: bisogna studiare l’etiologia e non studiare le terapie senza conoscere l’etiologia: attesi gli sviluppi continui della Medicina, l’assegnazione del genere si riferisce non più alla sola assegnazione iniziale di maschio o2 femmina alla nascita, ma è diventata tanto estensiva da precedere la nascita, potendo essere investigata nelle immediate fasi successive al concepimento.
Infatti la determinazione del sesso è rilevabile in fasi estremamente precoci attraverso metodiche di diagnosi genetica pre-impianto che, associate alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, hanno reso possibile lavorare per la determinazione del sesso/genere ancora prima della nascita. Siamo in un cambiamento d’epoca incredibile: Non si parte più dalla nascita per l’assegnazione iniziale di maschio o femmina, ma il genere può diventare assegnabile sin dal concepimento sicché, se fantasmato, può essere opzionato dai genitori su commissione, direi, su ordinazione specifica.
Questi cambiamenti tecnologici che sembrano semplici variabili di fatto sono diventati di fatto sostanziali modifiche, perché giungono a riguardare sia il vissuto della gravidanza ma anche l’irriducibilità del desiderio genitoriale che costringe e conduce quel bambino prima ancor prima di essere concepito ad essere catturato dentro un destino prefissato, che poi, di fatto, potrebbe risultare del tutto estraneo al genere assegnato alla nascita. Sappiamo bene che l’identità di genere non è una categoria soltanto anatomica, ma educazionale e comportamentale, cognitiva e sociale. Il DSM (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders), la bibbia delle discipline psichiatriche e psicologiche, giunto alla V edizione, nell’ultimo periodo sta variando più velocemente l’impostazione, dimostrando la poca stabilità nel tempo degli assunti scientifici.
Così si fanno transitare patologie in categorie non patologiche: questo sta avvenendo per le disforie di genere e per tutti quei disagi affettivi/cognitivi, in relazione al genere assegnato, inseriti dapprima in categorie patologiche/diagnostiche. Oggi noi parliamo di “transizione di genere” da attuarsi in soggetti minori di età e lo facciamo consapevoli di incertezze, perché i dati di letteratura pubblicati si riferiscono ai casi di pubertà patologica, trattata con triptorelina. E certamente questi casi non possono essere sovrapponibili a quelli che vorremmo trasferire, quando trattiamo bambini con pubertà fisiologica nei quali intendiamo bloccare, con contestabili applicazioni terapeutiche, l’evoluzione naturale del processo. Oggi noi stiamo parlando di “riassegnazione di genere” in soggetti di minore età sani, che non mostrano patologie, né riferite al genotipo, né al fenotipo, ma alla sola percezione di un’immagine del sé corporeo che non è accettata e che deriva dalla incongruenza del genere esperito o espresso rispetto al 3 genere assegnato.
È una questione della quale si è occupato anche il Comitato Nazionale di Bioetica, nella seduta del 13 giugno 2018, giungendo alla conclusione che “per la somministrazione della triptorelina si raccomanda un approccio di prudenza in situazioni accuratamente selezionate da valutare caso per caso”. Quindi modalità prudenziali, che obbligano a seri filtri, soprattutto quando vi è mancanza di dati scientifici, in base ai quali selezionare i casi suddetti. Ancora, il Consiglio nel suo parere raccomanda di individuare un sesso natale, definendo l’interesse preminente del bambino ad essere cresciuto in senso maschile o femminile e pone l’interrogativo: è possibile intraprendere un percorso di consapevolezza dell’identità di sé in un vissuto di identità sessuale neutrale che può durare sino ai quattro anni di età? In questo particolare momento dello sviluppo è opportuno ed è giusto ciò?
NB: SI ALLEGA IL FILE CON TESTO COMPLETO
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