Questo inverno demografico è grave, per favore state attenti, è gravissimo!»: sono le parole di papa Francesco per il calo di nascite in Europa e soprattutto in Italia. A causa di ciò, aggiunge il Papa, non si può parlare di sostenibilità, né di solidarietà fra generazioni: gli Stati «hanno il compito di eliminare gli ostacoli alla generatività delle famiglie» che sono un bene comune.
Insieme alla denatalità, vanno ricordati i bambini ai quali viene impedito di nascere, non sempre o solo «per colpa» della madre, alla quale viene negato il diritto di scegliere tra partorire e abortire. Fino ad ora chi ha aiutato la donne in difficoltà non sono stati i Comuni o le Regioni, ma i Centri di Aiuto alla Vita con il Movimento per la Vita, non certo i provvedimenti dello Stato, che pur essendo previsti nei primi articoli della 194 non sono mai stati attuati. E dire che la legge 194 si intitola paradossalmente: «Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza». In realtà ancora oggi alle donne è garantito l’aborto, ma non la gravidanza anche se voluta, perché i problemi economici, sociali e familiari di fatto non vengono rimossi. La «cultura della morte» ha prevalso anche durante il Covid, quando, per esempio, invece che alla cura e alla prevenzione dei tumori, negli ospedali, si è data la precedenza agli aborti, considerati «un diritto».
Secondo i dati di Eurostat, nel 2020, le donne italiane sono il fanalino di coda per le nascite in Europa: 1,24 nascite per donna per un totale di 404.892 nati. Invece, in Francia, grazie alle politiche in favore della maternità, il tasso è di 1,83 nati per donna. Nel 2022, alcuni professori di Ginecologia e Ostetricia di Università italiane hanno sottoscritto un documento in cui si afferma che: «La denatalità sta assumendo aspetti che minano anche la sicurezza nazionale ed il futuro dell’Italia», mettendo sotto accusa la società del consumismo in un sistema economico e culturale dove l’«io» ha il sopravvento sul «noi». Il figlio è considerato un bene desiderato, ma non primario, non un dono, a volte un lusso tanto che si dice che le povere abortiscono mentre chi fa figli sono le ricche. E la crisi della natalità limita anche i progetti di vita dei giovani, perché non si può costruire un futuro in una società dove non c’è apertura a nuovi orizzonti e crescita produttiva.
L’Italia è in fondo alla classifica Eurostat anche per l’età media delle madri alla nascita del primo figlio che nel nostro paese è 31,4 anni. La carriera, il lavoro e la casa rappresentano, spesso, un ostacolo alla maternità. Inoltre, c’è il problema dell’abbandono di aree interne del territorio, privilegiando le città, che per la qualità di vita lasciano molto a desiderare.
Certo, la famiglia dal punto di vista economico, non viene aiutata: le mamme sono lasciate sole con i loro problemi, soprattutto nel conciliare famiglia e lavoro. E poi, il fatto che i Paesi ricchi facciano meno figli è la dimostrazione che c’è un problema culturale: dovremo dare più importanza alla genitorialità, diciamo più prestigio alla maternità, ma del valore sociale della maternità non se ne parla più, mentre sono altri i modelli di donna proposti dai social e dai media. Bisogna aiutare la donna che, ancora oggi in Italia, ha il peso non solo della maternità, ma della gestione familiare. Il nostro Paese deve essere capace di innovazione, di iniziativa, di stare al passo con i tempi altrimenti le nuove generazioni saranno vecchie prima di entrare a far parte di questa società! Una coppia con figli è una coppia viva e direi costretta a rinnovarsi e a rinnovare l’umanità. Ma soprattutto quello che manca è una visione aperta alla Vita, in un mondo dove esiste la cultura della morte e dello scarto, attento a non esaltare mai il valore del sacrificio aperto alla speranza, a non dare importanza alla dedizione all’altro, ma affogato egoisticamente nella paura della sofferenza se non si ha una ragione da dare a questa eventuale sofferenza. Manca la religione che dà un senso a tutto ed esalta il valore ontologico di ogni persona. È un mondo pieno di angosce, per il quale tante cose non hanno senso, come il dono, l’accoglienza e uno sguardo di fiducia verso questa e l’altra vita, quella che verrà dopo: diciamo privo di fede e quindi molto povero e triste.
Insieme alla denatalità, vanno ricordati i bambini ai quali viene impedito di nascere, non sempre o solo «per colpa» della madre, alla quale viene negato il diritto di scegliere tra partorire e abortire. Fino ad ora chi ha aiutato la donne in difficoltà non sono stati i Comuni o le Regioni, ma i Centri di Aiuto alla Vita con il Movimento per la Vita, non certo i provvedimenti dello Stato, che pur essendo previsti nei primi articoli della 194 non sono mai stati attuati. E dire che la legge 194 si intitola paradossalmente: «Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza». In realtà ancora oggi alle donne è garantito l’aborto, ma non la gravidanza anche se voluta, perché i problemi economici, sociali e familiari di fatto non vengono rimossi. La «cultura della morte» ha prevalso anche durante il Covid, quando, per esempio, invece che alla cura e alla prevenzione dei tumori, negli ospedali, si è data la precedenza agli aborti, considerati «un diritto».
Secondo i dati di Eurostat, nel 2020, le donne italiane sono il fanalino di coda per le nascite in Europa: 1,24 nascite per donna per un totale di 404.892 nati. Invece, in Francia, grazie alle politiche in favore della maternità, il tasso è di 1,83 nati per donna. Nel 2022, alcuni professori di Ginecologia e Ostetricia di Università italiane hanno sottoscritto un documento in cui si afferma che: «La denatalità sta assumendo aspetti che minano anche la sicurezza nazionale ed il futuro dell’Italia», mettendo sotto accusa la società del consumismo in un sistema economico e culturale dove l’«io» ha il sopravvento sul «noi». Il figlio è considerato un bene desiderato, ma non primario, non un dono, a volte un lusso tanto che si dice che le povere abortiscono mentre chi fa figli sono le ricche. E la crisi della natalità limita anche i progetti di vita dei giovani, perché non si può costruire un futuro in una società dove non c’è apertura a nuovi orizzonti e crescita produttiva.
L’Italia è in fondo alla classifica Eurostat anche per l’età media delle madri alla nascita del primo figlio che nel nostro paese è 31,4 anni. La carriera, il lavoro e la casa rappresentano, spesso, un ostacolo alla maternità. Inoltre, c’è il problema dell’abbandono di aree interne del territorio, privilegiando le città, che per la qualità di vita lasciano molto a desiderare.
Certo, la famiglia dal punto di vista economico, non viene aiutata: le mamme sono lasciate sole con i loro problemi, soprattutto nel conciliare famiglia e lavoro. E poi, il fatto che i Paesi ricchi facciano meno figli è la dimostrazione che c’è un problema culturale: dovremo dare più importanza alla genitorialità, diciamo più prestigio alla maternità, ma del valore sociale della maternità non se ne parla più, mentre sono altri i modelli di donna proposti dai social e dai media. Bisogna aiutare la donna che, ancora oggi in Italia, ha il peso non solo della maternità, ma della gestione familiare. Il nostro Paese deve essere capace di innovazione, di iniziativa, di stare al passo con i tempi altrimenti le nuove generazioni saranno vecchie prima di entrare a far parte di questa società! Una coppia con figli è una coppia viva e direi costretta a rinnovarsi e a rinnovare l’umanità. Ma soprattutto quello che manca è una visione aperta alla Vita, in un mondo dove esiste la cultura della morte e dello scarto, attento a non esaltare mai il valore del sacrificio aperto alla speranza, a non dare importanza alla dedizione all’altro, ma affogato egoisticamente nella paura della sofferenza se non si ha una ragione da dare a questa eventuale sofferenza. Manca la religione che dà un senso a tutto ed esalta il valore ontologico di ogni persona. È un mondo pieno di angosce, per il quale tante cose non hanno senso, come il dono, l’accoglienza e uno sguardo di fiducia verso questa e l’altra vita, quella che verrà dopo: diciamo privo di fede e quindi molto povero e triste.
Maria Nincheri Kunz