Mons. Paglia (PAV): “le nuove sfide dell’Uomo, verso un umanesimo planetario e una ‘governance’ globale”

Roma – “Human Meanings and challenges” è il titolo del convegno mondiale della PAV, Pontificia Accademia della Vita, a cui hanno partecipato accademici proveniente da ogni continente.
Ecco di seguito, l’intervento introduttivo, del Presidente della PAV, Mons. Vincenzo Paglia, nella prima giornata dei lavori.
“Desidero anzitutto rivolgere un cordiale benvenuto a tutti voi, sia ai membri dell’Accademia venuti a Roma per la nostra Assemblea annuale, sia a coloro che partecipano a questo Workshop, e anche a tutti coloro che sono collegati on line. Con queste mie riflessioni introduttive, legate a quanto il Papa Francesco ci ha detto aprendo questa nostra assemblea Generale del trentesimo anniversario della Pontificia Accademia della Vita, vorrei avviare una riflessione che ci permetta un sincero e proficuo dibattito che possa infine individuare alcune prospettive comuni che a nostra volta offriremo tutti coloro che ovunque nel mondo sono interessati al delicatissimo tema che ci accingiamo a trattare. Presenterò la mia riflessione in cinque brevi paragrafi.
1.Ragioni della scelta dell’argomento L’argomento che abbiamo scelto per il nostro incontro, anche grazie alla riflessione svolta nel Consiglio Direttivo, è frutto di un cammino piuttosto lungo; non è stata un’idea improvvisata. Ricordando l’itinerario compiuto nelle recenti Assemblee della nostra Accademia, si può cogliere una costante attenzione ad approfondire quali siano le frontiere più avanzate della ricerca scientifica. Abbiamo spaziato dalla robotica alla “intelligenza artificiale” fino alle nuove tecnologie, cosiddette emergenti e convergenti (NBIC).
Sebbene abbiamo sempre dedicata una sessione anche all’esame degli aspetti filosofico-teologici e delle implicazioni etiche di questi saperi e pratiche scientifici, non si è mai affrontata in modo diretto la questione antropologica. Eppure si tratta di un tema urgente se pensiamo al nostro futuro come specie umana, che oggi presenta drammaticamente il rischio di scomparire, per autodistruzione o per superamento (dis-umano più che post o trans umano).Del resto anche nel dibattito pubblico, e non solo in ambito ecclesiale e accademico, esso diviene sempre più insistente. Per questi motivi abbiamo deciso di prendere il toro per le corna, come si dice in Italia, e di affrontare questo interrogativo molto esigente, sapendo che richiede una buona dose di coraggio.
2.Interrogativo antico e sempre attuale Si tratta di riprendere nel momento storico odierno la domanda che il re Davide si poneva sotto la sconfinata volta del cielo stellato, come ci dice il salmo 8: “che cosa è l’uomo?” (Sal 8,5). Un interrogativo che fa anche da titolo a un bellissimo volume della Pontificia commissione biblica, recentemente pubblicato, di cui consiglio fortemente la lettura. È un volume innovativo perché, a partire dai racconti fondatori dei primi capitoli della Genesi non considera solo brani singoli, come spesso accade, selezionandoli sulla base delle conclusioni che si vogliono ottenere e utilizzando la Parola di Dio come puntello delle proprie opinioni. Né prende isolatamente delle tematiche separandole dalle altre, ma le esamina nel loro complesso, nelle loro relazioni e nel loro svolgimento all’interno dell’insieme della storia biblica, mostrando la pluralità di prospettive che esse dischiudono. Emerge così come nell’ambito della sacra Scrittura – che costituisce «la regola suprema della fede» (Dei Verbum § 21) e «l’anima della sacra teologia» (Dei Verbum, § 24) – non si traccino linee di demarcazione statiche e avulse dalla storia, considerando che “i tratti costitutivi della persona umana” sono inseriti, “fin dall’inizio, in un processo dinamico nel quale la creatura umana assume un ruolo decisivo per il suo avvenire” La Bibbia stessa ci suggerisce quindi di porre la nostra domanda in termini più dinamici: “che cosa è l’uomo?” diventa “chi deve essere l’uomo?”. Il passaggio si adatta molto bene alla situazione odierna. Oggi infatti ci troviamo di fronte a ricerche scientifiche che sembrano mettere in questione le caratteristiche originali dell’essere umano: e quindi, i fini che orientano il suo agire a riguardo di sé stesso. Esempi espliciti sono quelli che riguardano l’ibridazione, che proprio per questo abbiamo preso come temi di riflessione in alcune nostre sessioni: tra tessuti umani e impianti digitali (cyborg, antrobot e biobot) o tra cellule umane e animali (chimere); ma anche il potenziamento delle funzioni organiche (enhancement) o la trasformazione della materia biologica in oggetti bio-tecnologici (bio-oggetti).
Inoltre, sono anche molto serie le domande che riguardano la governance delle ricerche e della diffusione sicura dei dispositivi (bio)tecnologici. Ma, per disegnare politiche e proporre interventi giuridici che orientino efficacemente una ricerca sempre più rapida e una produzione che rincorre spazi sempre più ampi di mercato, non è possibile fare a meno di comprenderne le caratteristiche fondamentali e gli effetti complessivi.
È in questa prospettiva che nel nostro Workshop abbiamo affidato alla professoressa Anne-Marie Pellettier, che ringrazio, per aver accettato di aiutarci in un esercizio insolito, ma importantissimo anche dal punto di vista metodologico: si tratterà di una sorta di rilettura del percorso svolto alla luce della sacra Scrittura.
3.Coordinate per impostare la ricerca È evidente che l’interrogativo è molto impegnativo e non è suscettibile di risposte prefabbricate. In primo luogo, pertanto, come ci ha ricordato papa Francesco, si richiede un dialogo effettivo tra diverse discipline scientifiche. Di questo dialogo si parla molto, ma non possiamo ritenerci soddisfatti del modo in cui lo pratichiamo abitualmente. Data la specializzazione dei saperi, non appena qualche esperto esce dal proprio ambito di competenza, si avverte subito che il modo in cui utilizza o impiega le categorie del campo in cui si è avventurato, pur con le migliori intenzioni di non ridurre il discorso solo ai propri schemi, suona poco convincente, se non addirittura maldestro. Ho citato sopra la Bibbia e può essere un buon esempio: quante volte il ricorso a brani o temi biblici, non solo da parte di scienziati, ma anche di teologi di altre competenze, risulta ingenuo o inadeguato! Si prendono magari le parole, ma non si assume un’impostazione ermeneutica che sia consapevole della complessità dei testi biblici, della laboriosità della loro composizione e della pluralità di tradizioni e contesti. È una vera novità l’invito che papa Francesco ci rivolge in Veritatis gaudium parlando di “transdisciplinarità forte”. È un invito ad entrare nella logica di un vero e proprio “laboratorio culturale”. L’intenzione sottesa alla costruzione del nostro Workshop è stata esattamente quella di favorire questa dinamica esigente per il pensiero. In secondo luogo, forse va riformulata la domanda stessa che si suole ripetere riguardo alla ricerca, alla sperimentazione, all’innovazione, ossia: “Fino a dove ci si può spingere?”, come se il tentativo da compiere sia quello di definire un limite di demarcazione dell’“umano”, materialmente identificabile, quasi fosse uno spartiacque definitivo con il “non umano”. Ecco: siamo proprio sicuri che la domanda sia ben impostata? Le numerose innovazioni tecno-scientifiche avvenute nella storia umana non ci insegnano che di fatto molti limiti che sembravano invalicabili sono stati già superati? In realtà, sino ad ora si è cercato un equilibrio tra le diverse dimensioni, anche se non sempre ci si è riusciti. Ecco perché occorre considerare il limite: dove non si deve oltrepassare? Credo che ci sia da considerare anche il quando e il come lo si deve fare. Insomma, si tratta di comprendere il limite secondo coordinate molteplici.
4.(Re)interpretare il limite La prima coordinata da considerare è quella del tempo perché i periodi di adattamento e di riflessione consentano una elaborazione personale, sociale e ambientale dell’innovazione. La pandemia non è stata forse amplificata da un contatto, prodotto dall’azione umana (qui non ha importanza se in un mercato o in un laboratorio) tra nicchie ecologiche che avevano trovato un loro equilibrio nel corso di millenni, e poi diffusa dalla rete di trasporti ad alta velocità? L’accelerazione (che nella logica imprenditoriale d’assalto diventa shortermismo, che cerca di massimizzare il profitto in tempi brevi) mostra così tutto il suo potenziale distruttivo: porta a comprimere i tempi rischiando di danneggiare questi equilibri in modo irreversibile. Sono interessanti a tale proposito le riflessioni sulla vita moderna di Hartmut Rosa nel suo bel volumetto: Alienation and Acceleration .Il tempo aiuta a collocare il momento attuale in una più ampia prospettiva storica. La specie umana è da considerarsi molto giovane rispetto ad altri organismi viventi. Tanto da poter affermare che il nostro cammino evolutivo è solo all’inizio, con tutte le incertezze che questo comporta. Più che diessere umano, si potrebbe anche parlare di divenire umano. Già Pascal diceva: “L’uomo supera infinitamente l’uomo” (Pensieri n. 434). Credo sia necessario interpretare proprio in questa luce la natura umana. Riguardo poi al come, che potrebbe includere molti aspetti, possiamo almeno segnalare la questione dell’interdipendenza. La pandemia ci ha reso più consapevoli dell’interconnessione planetaria, anche se per certi aspetti sub contrario , cioè più per la rapidità con cui i danni si sono propagati che per l’ampiezza della solidarietà che abbiamo saputo costruire. Comunque ci siamo resi conto della rete articolata in cui anche come specie siamo immersi.
Un’interazione complessa che riguarda non solo l’ambiente naturale, caratterizzato da risorse limitate, dalla biodiversità tra organismi viventi, ma anche l’ambiente degli artefatti. Un insieme cosmo-eco-antropologico caratterizzato da una co-evoluzione tra i diversi componenti strettamente connessi La posizione degli umani ha una sua specificità, anche in termini di coscienza. È un tema su cui la comunità scientifica lavora con interesse, giungendo ad ammettere che non si possa escludere qualche forma di coscienza, pur con differenti profili e modulazioni, anche nel mondo animale (cf Dichiarazione di Cambridge 2012).
Ma, per gli esseri umani, si pone un nesso originale tra coscienza e capacità di essere responsabili all’interno di questo sistema strettamente interdipendente e concatenato, per cui la loro specificità li abilita a esercitare quel tipo di “signoria” che consiste nel mettersi al servizio per il bene dell’insieme, svolgendo un vero e proprio “ministero”. Questa prospettiva planetaria è del resto quella che abbiamo esaminato nel corso delle nostre assemblee che hanno trattato della bioetica globale (2018) e della salute pubblica (2022), in seguito alla pandemia.
Vediamo allora come forse quel limite che sembrava inopportuno superare può essere oltrepassato, ma con la dovuta tempistica e con le adeguate modalità. Sono aspetti che
ampliano il campo del discernimento da compiere. Nel mondo scientifico e politico ci sono già segni di questa attenzione che occorre ulteriormente coltivare e sviluppare. Pensiamo alla pratica della moratoria su certe piste di ricerca genetica o al ruolo svolto dal principio di precauzione per decidere le politiche di sviluppo. Verso un umanesimo planetario e una “governance” globale Dal punto di vista antropologico, si tratta di consentire al meglio l’accoglienza del carattere non disponibile della vita, riconoscendo la vulnerabilità, la dipendenza (reciproca) e l’incertezza non come disgrazie da eliminare, ma al contrario come tratti caratteristici della condizione umana, da includere nel cammino di ricerca del senso. È in questo quadro che si scongiura sia un “antropocentrismo deviato” sia un “biocentrismo riduttivo” (cf LS 118) per individuare la forma storica che consente la promozione della dignità della persona e della giustizia nella convivenza.
È un compito per cui si rende necessario un affinamento teorico più adeguato e propositivo dell’esperienza condivisa dell’umano (comune), che parta da una opportuna valorizzazione della «coscienza», di cui occorre anzitutto garantire le condizioni di esercizio che sono fortemente minacciate dalla continua accelerazione della vita sociale e dell’innovazione tecnica. Solo approfondendo la consapevolezza di esserci ricevuti da un’iniziativa che ci anticipa e di essere affidati a noi stessi, potremo riconoscere le forme costitutive in cui l’alterità si rende percepibile: il corpo, gli altri e la cultura che ci media le coordinate fondamentali della vita sensata. A partire da questo fondamentale momento di passività relazionale sarà possibile dare rilievo al riconoscimento dell’altro e a un altruismo gratuito, capace di assumere anche quel perdersi che è proprio del prendersi cura, in ogni autentico atteggiamento di servizio.
Un compito esistenziale e non solo intellettuale che esige la corrispondente fatica di andare oltre una spontanea rappresentazione della vita riuscita come auto-affermazione, anche mitigando quella pulsione di antropocentrismo arrogante e predatorio, che ne è la proiezione a livello di specie. Occorre quindi alimentare e sostenere la percezione che il «senso del desiderio altrui, che precede, eccede e accende il senso del desiderio proprio, è la testimonianza irrecusabile della differenza umana».
Questa specifica differenza del sentire, può forse essere simulata come una parvenza umana, ma mai compiutamente riprodotta in una modalità che realizzi effettivamente l’insieme della persona come soggettività.
L’etica che è necessario elaborare richiede quindi di mettere in campo le migliori conoscenze disponibili per approfondire la comprensione dei fenomeni nella loro complessità.
Già la scelta dell’approccio conoscitivo è infatti un luogo di responsabilità, da cui dipende anche l’identificazione dei fronti che richiedono l’impegno e l’investimento delle forze, sul piano sia personale sia sociale. Occorrerà un atteggiamento umile, di chi è consapevole dei limiti che caratterizza ogni sapere, anche scientifico, e dell’incertezza sugli effetti degli interventi che operiamo grazie alle tecnologie; ma occorrerà anche un ampio respiro, convinto e determinato per mobilitare immaginazione e volontà nel dare nuovo impulso a organismi sovranazionali che possano favorire una effettiva comunità dei popoli e trasformare l’interdipendenza di fatto in scelta politica – ed anche culturale – per una solidarietà globale, per una convivenza fraterna dell’intera famiglia umana.”